Quando arriviamo a un punto di "comodità" nello yoga (come nella vita) subito la mente si mette a viaggiare verso il passato "avrei dovuto" o verso il futuro "chi sa se magari dopo...." - così siamo sempre spinti verso uno o l'altro di questi due poli - la mente "liberata" (annoiata) dalla comodità e abitudine viaggia in avanti o indietro nel tempo.
È grazie al cambiamento che il tempo presente viene incorporato nel momento realmente vissuto. La mente è "costretta" ad osservare ORA perchè non sa, non ha la sicurezza dell'abitudine per fare altro che rimanere vigile. Come un animale in un terreno ignoto, mica dorme. È molto consapevole di quello che succede attorno a sé.
Esattamente come con il dolore. Nella meditazione zen il dolore è utilizzato come strumento per riportarci al momento presente. Mi ricordo benissimo (purtroppo), in un ritiro zen cui ho partecipato in Toscana, la bastonata che ho ricevuto improvvisamene sulle spalle dal maestro e le lacrime che mi sono uscite dagli occhi improvvisamente a getto. È vero: improvvisamente non ho pensato più a quello che avrei mangiato per la cena, e non ho pensato più all'incontro romantico che era andato storto qualche settimana fa. Però...però. Dopo questo esperienza, che ha cambiato la mia idea di cosa è "zen" (nel modo romantico in cui lo concepivo io), non sono mai più tornata, non solo per la paura del dolore, ma anche perchè posso arrivare alla disciplina e alla presenza in modi meno "harsh". Con lo yoga ad esempio.
Parlando del "dolore" : nello yoga con le asana c'è una linea molto sottile tra il dolore "sano" e il dolore "spinto". Il primo ci porta (con la pazienza, il tempo e il respiro), a degli asana di una certà qualità e, soprattutto, ad una mente presente. Il secondo può portare a farsi male (infatti è più probabile che si possa far male un principiante di un esperto, perchè il primo non è ancora in grado - per mancanza di esperienza nell'ascolto di sé - di distinguere i due tipi di "dolore"). Quando troviamo il dolore "giusto", allora possiamo utilizzarlo come strumento per portarci al famoso "qui e ora".
Nella pratica si parla spesso del " vivere realmente nel momento presente" - ma cosa vuole dire esattamente? E chi se ne frega?! Stiamo benissimo con i nostri pensieri rivolti in avanti e indietro, non vediamo l'utilità! Ok - se io dico che mangiando una pastiglia blu possiamo vivere nel mondo di sogni, cioè in uno stato di sonno profondo dove viviamo mentalmente delle immagini che non corrispondono alla vita reale - prenderemo quella pastiglia? Mi piace pensare che avendo la scelta preferiamo non inghiottirla perchè meglio una vita vissuta che una vita sognata, no? Peccato che la mente sta sempre da tutte le parti meno che qua e che noi stiamo vivendo già, appunto, in un modo di sogni. Cioè stiamo vivendo immagini, film e discorsi dentro la nostra testa, degli scenari ipotetici che hanno poco che fare con il momento presente/reale. Stiamo così mangiando la pillola blu.
Oltre il dolore un modo per mangiare se vogliamo, la pastiglia rossa e tuffarci nella vita reale così com'è con tutti i suoi sù e giù, è dare il benvenuto al cambiamento. Parlando in un'ottica yoghica possiamo sperimentare sia cambiamenti grossolani (ad esempio nelle asane e sequenze che pratichiamo) sia cambiamenti più sottili, anatomici, biochimici muscolari, respiratori del corpo. Sarebbe utile accettare e praticare le asana che ci piacciono di meno per evitare l'abitudine di fare sempre quello che ci piace e che sappiamo. Questo è anche il bello della lezione di gruppo (rispetto a quella individulale): non abbiamo molta scelta e a volte questa è una cosa buona.
Credo che questo valga anche per la vita, fuori dal tappetino. Abbiamo paura dei cambiamenti ma cresciamo e viviamo realmente grazie a questi, ci annoiamo con l'abitudine ma la cerchiamo costantamente. Forse bisogna provare a sporgerci un po' fuori dalla nostra "comfort zone", abbracciare il "nuovo" per provare un'altra qualità di vita. Fa paura ma fa bene.