Sunday, March 10, 2013

EINSTEIN E GHANDI HANNO SBAGLIATO


Photo di Antonio Cipriani

Una delle cose che non mi piace molto del mondo yoghico è questa insistenza (e anche io un pò di tempo fa ero colpevole) sul pensiero positivo e "self improvement".  E non solo nel mondo yoghico. Persino Ghandi ha detto "Siate il cambiamento che vorreste vedere nel mondo" (cioè cambiarsi in meglio per arrivare in un posto "migliore", suppongo). Einstein ha detto "Ci sono due modi di vivere la tua vita. Una è pensare che niente è un miracolo. L'altra è pensare che ogni cosa è un miracolo." Belle parole... che implicano che possiamo scegliere di cambiare e di vedere le cose in modo più allegro.

Ma se fosse vero che possiamo scegliere la felicità, come mai non stiamo girando tutti con un bel sorriso stampato in faccia? Come mai gli antidepressivi si vendono meglio dello gnocco fritto? Se la felicità si può scegliere, allora siamo una razza molto molto stupida - perchè da quello che vedo io, la maggior parte ha scelto la "normalità" ...e un parte di essere  tristi. Non c'è tutta questa gente piena di gioia in giro. Come mai se è semplicemente una questione di "scelta"?! 

Immaginare che possiamo cambiare noi stessi in esseri migliori con la sola convinzione mentale, è in se negativo: "we are setting ourselves up for failure" - cioè ci stiamo impostando per il fallimento. E dopo questo nostro impegno per trasformarci in esseri felici con la sola forza del pensiero, ci troviamo tristi o "normali"  come prima. E non è finita: visto che abbiamo fallito miseramente nella nostra "Missione Felicità ", ci sentiamo anche in colpa per i risultati meno che sufficenti, che ci fa scattare l'auto-critica ("ecco sono un fallimento!") e ci troviamo in lotta con noi stessi. E così via al panino con Prozac. 

Per me lo yoga non ha che fare con "self improvement" né con il trovare la felicità (come si saprà se seguite i miei corsi;-)  ma con il conoscersi. Quando abbiamo guardato bene chi siamo, che può essere grazie allo yoga, la meditazione, camminate nella natura, l'amante, jogging, l'analista, lavorare a maglia, il suonare, il cantare, il dipingere, il golf - ci sono infiniti modi per arrivarci -  possiamo cominciare a capirci, e quando capiamo possiamo trovare qualcosa che è mille volte meglio della felicità, che è "l'accettazione". 
Anche se io credo che lo yoga post-pratica può portarci ad uno stato di "gioia" non è grazie allo sforzo mentale, ma grazie ad un lasciar andare, due cose decisamente  diverse tra di loro.

L'ultimo libro della scrittrice Jeanette Winterson si intitola "Why be happy when you can be normal?". Concordo pienamente.

Questo post è stato pubblicato sulla rubrica settimanale di www.people.globalist.it 

6 comments:

Patalice said...

fosse così semplice...
quando ci diciamo che ci vogliamo felici, dobbiamo mettere in conto tutta una serie di nozioni che fanno parte di noi, ma che ci vogliamo negare...
la felicità è un premio che deriva da una buona dose di sacrificio

Tess Privett said...

Bhè....è una definizione molto interessante! Io sono inglese perciò per essere sicura ho guardato la definizione di "sacrificio" nel dizionario. Ho trovato questo: "privazione o rinuncia deliberatamente affrontata o subita per necessità." Mi sembra un modo un pò duro per ottenere questo "premio". Forse depende come lo vivi la privazione e la rinuncia.
Grazie per il tuo commento!

Carolina Traverso said...

Grazie Tess, interessante il tuo commento e soprattutto BELLA la tua profonda leggerezza! Molto, molto yogica, or at least that's what it seems to me.

Tess Privett said...

Cara Carolina,
volevo solo ringraziarti per il tuo commento! Che bello! :-)

Massimo said...

Bisogna risalire fino alla radice etimologica della parola sacrificio, per comprendere quanto essa abbia a che fare col dono e con lo stato di gioia che lo accompagna, e rendersi conto di ciò che Gandhi intendesse, parlando di presenza al cambiamento che si desidera (ovvero del non limitarsi alla sua immaginazione ma divenirne interpreti e attori), come dell'invito a riconoscere, vivendolo, il sacro ch'è in ogni Essere, secondo gli stessi principi che disegnano il mudra del Namasté, il cui significato nel saluto è "mi inchino alle qualità divine che sono in te". L'etimo della parola "sacrificio" è, appunto, "sacer facere", ovvero "fare sacro". Quando, anche attraverso la pratica dello yoga o della preghiera, ci si ritrova capaci di sostenere, in ogni condizione, anche la peggiore, questo sentimento di rispetto e riconoscenza per ogni aspetto dell'esistenza, ecco che il nodo si scioglie e il seme di quella privazione di cui parli, Tess, fiorisce dando luce ad una vita autenticamente felice.

Tess Privett said...

MAssimo - scusami se ho messo tanto - come bloggista sono pessima, poco presente, scrivo post e commento di rado (sono un procrastinator ai livelli "olyimpic"). Ma quando mi ricordo di dare un'occhiata sono sempre contenta di vedere quando che qualcuno ha scritto, e il tuo commento non è un eccezione.

"L'etimo della parola "sacrificio" è, appunto, "sacer facere", ovvero "fare sacro".
Nella mia ignoranza questo non lo sapevo, e mi piace tanto. Mi hai dato tutto un altro "perspective" sulla parola che improvvisamente non vedo più come qualcosa di così "punishing" - anzi.

Per quanto riguarda diventare "attori e interpreti" - non so. Se hai un motivazione così forte, un carattere altre tanto quella sarà la tua strada (di causare o contribuire ai/dei cambiamenti che vuoi vedere nel mondo) . Ma non credo che può forzarlo. Non vuole dire essere passivi, vuole dire "mi inchino alle qualità divine che sono in ME" - cioè rispetto quello che sono anche se non sarò mai il Ghandi della situazione, anche se non sarò mai la Vanessa Smith (una ragazza nelle mia classe alle medie che avevo la forza di un treno e la volontà di mia nonna, e la bellezza di un cherub), non sarò mai neanche una persona "solare" ne "ottimista" - ma "faccio sacro" quello che sono senza autocondanarmi per quello che manca, e senza sforzarmi inutilmente. Non so se mi faccio capire. Insomma non credo che Ghandi tutte le mattine diceva a si stesso "oggi sarò più determinato, oggi sarò più forte, oggi darò il meglio di me." Non c'era bisogno. Mi dispiace che tanti provano inutilmente a cambiarsi - e poi con la forza di volontà. Non funziona seconda me - questo era il senso di quello che ho scritto.
Grazie Massimo!!!